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Dal bullismo al cyber-bullismo, l’assassino invisibile

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Giovedì scorso una giovane 17 canadese (Rehtaeh Parsons) ha tentato di suicidarsi, impiccandosi nel bagno della sua casa dopo mesi di continuo tormento, prima fisico poi psicologico (quest’ultimo avvenuto tramite i social network). I genitori domenica sera hanno deciso di staccare i macchinari che la tenevano in vita. Una della cause del suicidio si più far risalire ad un fatto di stupro accadutole nel 2011 e compiuto da parte di 4 giovani ragazzi. Nessuna accusa e stata fatta a questi ultimi dopo l’aggressione perché le autorità avevano archiviato il caso per mancanza di prove.
Su una pagina di un noto social network (Facebook) la madre spiega come è cambiata sua figlia dopo l’aggressione e racconta che quel giorno la ragazzina si è raccatta con un amico a casa di un’altro amico, qui è stata violentata dai 4 ragazzi presenti ed uno di questi gli scattò anche una foto (che pubblicata successivamente su Facebook e mostrata ai suoi amici diventa la vera causa di morte). All’età della violenza Rehtaeh aveva 15 anni e da quella volta la sua vita è cambiata, viene emarginata dai compagni di scuola (frequentava lo stesso istituto degli stupratori), allontanata da quelli che dovevano essere i suoi amici e le sue amiche (questi le mandavano messaggi provocanti ed offensivi).
Così i suoi genitori hanno deciso di trasferirsi da Cole Harbour a Halifax per aiutare la figlia. Qui la ragazza si è fatta nuovi amici ed ha ripreso i contatti con i vecchi compagni di scuola.
Però quella foto fatta il giorno dello stupro, fatta girare per la scuola e su Facebook fa crollare la ragazza (la porta a tentare il suicidio). Nel frattempo segue una terapia specifica ma è ancora poco stabile. La madre sostiene che sia stato un atto improvviso, dato da uno dei frequenti cambiamenti d’umore e che la figlia non voleva realmente morire.
Rehtaeh esprimeva la sua tristezza anche su Facebook, il 3 marzo scorso pubblicò un post con scritto “Alla fine, ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.
Quando si utilizzano i social network, strumenti importantissimi per comunicare, mantenere vivi i rapporti con amici e persone lontane, conoscerne di nuove, bisogna fare molta attenzione perché spesso delle semplici foto pubblicate per gioco e le parole pesanti scritte e messe alla vista di tutti possono essere le cause per compiere atti irrazionali, imprevedibili come il suicidio di Rehtaeh che purtroppo non è la prima vittima di questi nuovi e tecnologici bulli, ma si spera sia l’ultima.


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